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santuariIntervista alla Rete dei Santuari di Animali Liberi in Italia

1) E’ nata la Rete dei Santuari per Animali Liberi in Italia. Quali sono state le considerazioni che vi hanno spinto a fondarla?
La Rete è un progetto covato da Ippoasi e Vitadacani Onlus da tempo. C’era stato un primo tentativo tempo fa, purtroppo non decollato. Ora ci riproviamo, e ci stiamo riuscendo. I santuari hanno delle problematiche da affrontare, e degli obiettivi da raggiungere. Siamo convinti che soltanto unendo le nostre forze, collaborando attivamente, potremo avere la forza di riuscire. La rete inoltre ha la funzione di dare spazio a tutti i santuari, permettendo loro di farsi conoscere, avere maggiore visibilità.

2) Per quale ragione avete preferito il termine santuario (che ricorda la religione) rispetto al termine rifugio?
Il termine deriva dall’inglese “sanctuary”, che indica per l’appunto quei luoghi che accolgono e danno nuova vita agli animali salvati dallo sfruttamento dell’industria alimentare.

3) Quali sono, fino ad ora, i santuari che aderiscono alla Rete?
Hanno già aderito, oltre a Vitadacani Onlus e Ippoasi Fattoria della Pace, Be Happy, La Belle Verte, Rifugio Miletta, Piccola Fattoria degli Animali, Animal SOS, Fattoria delle Coccole, Italian Horse Protection.

4) Ci sono dei criteri precisi per far parte della Rete dei Santuari? Che cos’è la Carta dei Valori?
Nella Rete sono benvenute quelle realtà che si riconoscono e rispecchiano determinati principi: innanzi tutto il rispetto e benessere degli animali ospitati, ai quali va garantita la miglior qualità di vita possibile, e la libertà di essere null’altro che se stessi, liberi di gestire il proprio tempo ed i propri spazi. Devono poi avere l’importante funzione divulgativa, quindi essere aperte al pubblico. E’ soltanto incontrando gli animali liberati, guardandoli negli occhi, venendo tramite loro a conoscenza della terribile realtà in cui sono imprigionati i loro fratelli e sorelle, che può nascere una nuova consapevolezza, che si possono gettare semi per un reale cambiamento. Durante il primo incontro della Rete, tenutosi lo scorso novembre, abbiamo così stilato una carta dei valori, che riassumesse questi principi in modo schematico.

5) E le realtà (associative, private, familiari) che ospitano animali salvati ma non sono in linea con la Carta dei Valori? Si potranno coinvolgere?
Certamente! Il loro ruolo è importantissimo per dare ospitalità agli animali che ne hanno bisogno. Sono un aiuto fondamentale. E non è detto che, lavorando insieme, non possano a loro volta intraprendere un cammino che li avvicini ad una visione del rapporto con gli animali scevra da ogni presupposto antropocentrico.

6) Cosa pensate di quei rifugi che, per mantenersi, usano gli animali per praticare la pet terapy? Cosa rispondete a chi fa collette per salvare animali?
Pensiamo che gli animali abbiano il diritto di essere liberi. Liberi di fare ciò che vogliono. Di gestire il proprio tempo. Di vivere come desiderano ogni singolo istante. Pensiamo che chi decide di accogliere animali sottratti alla schiavitù ed allo sfruttamento debba garantire loro questa assoluta libertà. Essi erano una volta “animali da reddito”. La loro liberazione li ha riscattati. Dobbiamo essere noi, per una sorta di giusto contrappasso, a lavorare per loro.

Per quanto riguarda l’acquisto di animali, siamo contrari. L’acquisto di un animale salva sì quell’animale, ma finanzia la sofferenza di tantissimi altri. Se acquistiamo decine di agnellini a Pasqua per salvar loro la vita, non facciamo altro che dare soldi a chi sfrutta i loro genitori, e lucra sulla loro sofferenza, e sullo sterminio dei loro piccoli.

7) A livello burocratico i santuari sono equiparati a normali allevamenti, e gli animali rifugiati restano “animali da reddito”. Questo è un problema per molte ragioni. Potete spiegarcele? Quali sono le istituzioni (se ce ne sono) che cercano di non intralciarvi?
Purtroppo è così. Come in moltissimi altri paesi, i santuari sono classificati in Italia come veri e propri allevamenti, e gli animali rifugiati (tranne rarissime eccezioni) restano null’altro che animali da reddito, destinati all’alimentazione umana. Questo implica tutta una serie di problematiche, al di là della questione etica (noi non siamo allevatori, semmai siamo i loro più acerrimi nemici!): la necessità di ottenere permessi e di sottostare a controlli ogni volta che si deve movimentare un animale, e di dover utilizzare mezzi appositi (quelli utilizzati per il “trasporto bestiame” dagli allevamenti ai macelli, tanto per intenderci), il rischio di vedere uccisi tutti i propri animali nella malaugurata ipotesi che si verifichi qualche caso di malattia considerata pericolosa per la salute umana, anche se questa non comporta problemi per gli animali stessi, i continui controlli veterinari (sempre finalizzati alla salvaguardia della salute di chi si ciba di carne, e non degli animali stessi). Istituzioni che cerchino di non intralciarci al momento non ne vediamo. Sono semmai alcuni veterinari ASL ad instaurare, con il tempo, delle ottime relazioni di collaborazione.

8) Moltissimi degli animali rifugiati sono stati selezionati per soddisfare le “necessità” umane (peso, produzione, prestazioni…) e quindi difficilmente riuscirebbero a ritornare allo stato brado. La libertà totale in natura, per alcuni di loro, potrebbe essere nei vostri progetti?
Se parliamo di bovini, maiali, pecore e capre, purtroppo non vediamo possibilità. I loro corpi, le loro abitudini, sono state talmente plasmate nel corso dei millenni dal processo di “domesticazione” da renderli inadatti alla vita indipendente e totalmente libera che anche noi vorremmo per loro.

9) La gestione di un santuario per animali liberi è estremamente complessa, faticosa e onerosa. Secondo la vostra opinione, il movimento animalista in genere, sta dando il sostegno indispensabile perchè queste strutture possano continuare a svolgere il loro indispensabile ruolo? Qual è l’aspetto maggiormente sottovalutato e meno visibile rispetto al vostro impegno?
Purtroppo no. Questo è un altro dei motivi che ci hanno spinto ad unire le forze. Ovvero, aumentare la nostra forza politica all’interno del movimento di liberazione animale. I gruppi e le associazioni che si occupano di diritti animali, troppo spesso, si ricordano dei santuari solo quando hanno bisogno di trovare casa agli animali liberati. Ma se ne dimenticano poi presto. Gli animali invece vanno mantenuti e accuditi. E questo implica uno sforzo umano e finanziario non indifferente. E se non sostenuti i santuari arriveranno presto al collasso e saranno costretti a chiudere. Eppure, come accennavamo prima, è proprio nei santuari, ovvero laddove è possibile incontrare e conoscere gli animali, che possiamo lavorare per un reale e duraturo cambiamento, che porti alla fine dell’olocausto animale. E questo nostro ruolo fondamentale, che vale tanto quanto (se non a volte di più) i cortei, i presidi, gli incontri, le cene e gli aperitivi, non viene spesso riconosciuto, e quasi mai tenuto nella dovuta considerazione dal resto del movimento.

10) Gli animali uccisi sono circa 70 miliardi ogni anno (solo per l’alimentazione umana ed escludendo le creature marine). Il santuario è la risposta più immediata ad un’emergenza. La soluzione, però, è l’abolizione di ogni forma di sfruttamento. Siamo sulla strada giusta per un futuro senza gabbie e senza santuari?

Siamo nel bel mezzo di una strada lunghissima, sarebbe meglio dire.
Certo, negli ultimi anni sembra che la sensibilità nei confronti degli animali sia mutata. Molto hanno contribuito le grandi campagne antivivisezioniste come quella contro Green Hill o SHAC. A molto sono servite le investigazioni effettuate da gruppi come Igualdad Animal o, qui in Italia, Nemesi Animale (ora Essere Animali). Il numero delle persone che hanno deciso di non utilizzare in alcun modo prodotti derivati dagli animali è indubbiamente cresciuto.
Ma è parimenti cresciuto il consumo di carne. Sono cresciuti gli allevamenti. Sono aumentati gli animali massacrati annualmente per cibo, vestiario, sperimentazione animale.
Il percorso è quello giusto, ma il cammino è ancora molto lungo.
Intervistta a cura di Troglodita Tribe

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